La mia condizione tra arte e fibromialgia

Scrivo questo articolo un po’ per sfogo, un po’ perché spero che possa essere utile a qualcuno.

Il mio intento è quello di cercare di spiegare quello che sento e di riflettere sulla condizione di una disegnatrice affetta da sindrome fibromialgica: come si può conciliare il lavoro con il disturbo? Come trovare serenità ed equilibrio? Vediamo.

Il mio rapporto con il disegno non è stato sempre travagliato. Fino ai 16 anni circa è stata una storia d’amore serena, con i suoi alti e bassi.

Quando mi sono trasferita in Toscana per convivere con il mio fidanzato, originario della bella Montepulciano dove oggi vivo, ho cominciato a lavorare presso un’azienda che realizzava materiale pubblicitario per molti musei europei. Vivevo in affitto in case studentesche e all’improvviso non avevo più né un tavolo né il tempo per disegnare.
Scarabocchiavo nelle pause, ma non producevo più niente di interessante. La sera tornavo a casa troppo stanca e logorata per fare qualsiasi cosa, quando non ero totalmente disperata per lo stress che mi portavo dietro da quell’ufficio dove il mobbing era di casa.

Un giorno nel luglio del 2007, cinque mesi prima di licenziarmi, mi era stato assegnato il compito di imbustare dei gadget e inscatolarli. Si trattava di un compito particolarmente meccanico, tanto che la mattina dopo mi sono svegliata con le mani completamente addormentate per la tendinite.
Ho dovuto portare un tutore per diversi mesi, cercando di lasciar riposare i polsi, ma la cosa sembrava protrarsi nel tempo un po’ troppo a lungo e in modo piuttosto strano.
Anche passata l’infiammazione, continuavo a sentire dolori simili a crampi principalmente nelle mani e nelle braccia.

Dopo essermi licenziata ho cercato altri lavori come grafica freelance (esperienza educativa ma tremenda), ma nell’estate del 2008 i dolori alle mani erano talmente forti che facevo fatica a usare il mouse. Con il tempo i dolori avevano cominciato a manifestati in tutto il corpo, dai piedi alla testa.
Ho cominciato quindi a fare visite da vari dottori, ecografie, analisi varie ed eventuali, ma nessuno sembrava avere la minima idea di cosa mi stesse succedendo. Vedendo che tutti i dottori mi dicevano che non avevo niente, per un po’ ho smesso di farmi domande e mi sono rassegnata al fatto che questi dolori ormai erano parte di me.

Sono rimasta in una situazione di instabilità per diversi anni. Non solo non riuscivo più a disegnare, ma non sapevo più cosa disegnare. Non avevo le energie o l’ispirazione per fare niente di concreto.
È stato in quegli anni che il mio fidanzato mi ha regalato la mia prima tavoletta grafica, così che potessi imparare a disegnare in digitale. Questo mi ha dato un po’ di sollievo perché l’uso della penna era molto meno faticoso rispetto al mouse, e disegnare su photoshop mi risultava molto comodo. La mia produzione artistica era indubbiamente ridotta, ma sicuramente grazie a quest’esperienza ho acquisito più dimestichezza con le tecniche pittoriche e con il colore.

Dal 2008 al 2011 ho lavorato presso un bar di Siena. In quel periodo ho cominciato a bere tre caffè al giorno, uscivo di casa alle 9:00 per prendere il treno prima a Sinalunga e poi a Montepulciano in direzione Siena. Entravo al lavoro alle 11:00 e uscivo alle 15:00. Il primo treno per la Valdichiana partiva alle 16:10 e arrivavo a casa per le 17:00… quando il treno non era in ritardo o non veniva soppresso. Più di una volta sono arrivata a destinazione alle 19:30.

Ho cominciato a soffrire di insonnia e di disturbi digestivi.

Con il trasferimento definitivo a Montepulciano, nel 2010, è avvenuto anche l’ultimo cambio di dottore. Il mio nuovo dottore sembrava propenso a non trattarmi da ipocondriaca incomprensibile come gli altri suoi predecessori. Secondo lui il mio era un disturbo psicosomatico, dovevo trovarmi un lavoro meno logorante perché la pendolarità mi stava uccidendo e dovevo smetterla con il caffè. Su suo consiglio mi sono sottoposta a una visita psichiatrica, più di un anno di sedute dallo psicologo e due mesi di xanax. Presto l’insonna era sparita e, magia, erano spariti anche i dolori.

La benzodiazepina aveva fatto il suo miracolo, e ancora oggi mi struggo per il nostro rapporto d’amore intenso e impossibile. Abbiamo provato a proseguire la terapia con il Dropaxin ma mi dava la nausea e ho deciso di interromperlo.

Nel frattempo, visto che stavo molto meglio, ho cominciato a prendere lezioni di pianoforte e ho riprovato ad avviare la mia attività come freelancer.
Per provare a me stessa che ero ancora in grado di disegnare un fumetto, nel 2011 ho disegnato una storia molto semplice di 16 pagine e ho accettato un lavoro come disegnatrice per uno sceneggiatore. Quest’ultimo lavoro è stato molto faticoso; mi sono accorta che nonostante tutto non riuscivo a concentrarmi bene e a disegnare per più di mezz’ora consecutiva (il fatto che la storia fosse discutibile e la sceneggiatura ancora più discutibile potrebbe aver contribuito alla mia percezione negativa dell’esperienza).

Con il passare del tempo mi sono accorta che la mia scarsa produttività non era dovuta solamente alla mancanza di tempo o di stimoli, ma che il disegnare mi risultava sempre più faticoso, e che tendevo a preferire gli schizzi alle illustrazioni più complesse perché per me era molto difficile tenere la matita in mano per tempi più o meno lunghi. Non riuscivo a concentrarmi, le mani e la schiena mi facevano male.

 

La mia idea era sempre stata quella di vendere le mie capacità da artista. Convinta che i dolori non fossero una ragione sufficiente per la mia mancanza di costanza, avevo cominciato a chiedermi se fare la disegnatrice fosse davvero il mio sogno. Forse stavo cercando di diventare qualcosa che non volevo, forse lavorare su commissione non era la cosa per me. Forse mi interessava solo disegnare per me stessa, il resto mi annoiava. Mio marito mi ha incoraggiata a fare quello che mi piaceva fare, ovvero scarabocchi scarabocchi e scarabocchi, ma continuavo a farmi domande.

Ero scontenta dei miei disegni e non capivo perché non riuscissi a migliorare. Non capivo cosa mi mancasse. Forse mi mancava la motivazione, forse ero semplicemente pigra e abituata a ottenere le cose con poco sforzo, non avevo metodo… forse aspiravo troppo in alto e mi lasciavo demoralizzare facilmente. Forse, ho pensato, credo di voler essere come gli artisti che ammiro ma in realtà non sono fatta per essere come loro, in realtà devo accettarmi per come sono e trovarmi una dimensione artistica e lavorativa diversa.

Dal 2014 lavoro come grafica, fotografa, social manager e amministratrice per la mia società, Valdichiana Media.
Gli anni tra il 2012 e il 2015 sono stati abbastanza clementi. Mi sono sposata, ho cominciato a interessarmi di giornalismo, ho proseguito gli studi di musica. Avevo smesso di indagare sui miei misteriosi dolori perché ormai ci ero abituata e riuscivo a non farci caso.

A metà del 2014 ho notato un calo alla vista, quindi ho deciso di cambiare occhiali ma il cambio di lenti non sembrava aver migliorato granché. Ho pensato che l’oculista avesse sbagliato e mi sono rivolta a un secondo oculista per farne di nuove, ma anche questa volta non ho notato miglioramenti. Ho deciso di andare a fare una visita oculistica all’ospedale dove però mi è stato detto che ci vedevo alla grande, nonostante io continuassi a vedere male. È vero, leggevo tutte le lettere dalla prima all’ultima, minuscola riga, ma le vedevo tutte ugualmente male.

A lezione, il mio insegnante di pianoforte continuava a dirmi che ero lenta nella lettura degli spartiti, che dovevo fare esercizio, e io gli rispondevo che non riuscivo a mettere bene a fuoco le note. Siccome ero sempre stata lenta a leggere e a contare, ho pensato che potessi avere qualche forma di dislessia.

Nel 2016 sono andata da un altro oculista che mi ha riscontrato un leggero strabismo latente; mi ha dato un collirio e mi ha fatto fare delle lenti nuove. Nonostante il collirio, le compresse di mirtillo e lenti nuove, a me sembrava che la vista continuasse a peggiorarmi. Mi sentivo gli occhi secchi e stanchi. Cercavo di trovare un modo per descrivere il modo in cui vedevo, e a un certo punto ho concluso che ci vedevo doppio e che facevo fatica a mettere e tenere a fuoco qualsiasi punto nello spazio. Attorno alle cose vedo questi aloni iridescenti e uno strano rumore generale. Mio marito già in passato mi aveva fatto notare che ho un tic agli occhi che si può notare quando sbatto le palpebre: quando li riapro, prima di tornare a guardare dove stavo guardando li muovo in senso rotatorio, o dall’alto verso il basso. In sostanza, perdo il fuoco e mi si incrociano gli occhi. Presumo che sia un problema causato dai muscoli degli occhi ma ad oggi nessun oculista è stato in grado di darmi una risposta.

Tra il 2016 e il 2017 ho cercato di rimettermi in carreggiata, ricominciando a disegnare con più frequenza, studiando, partecipando a workshop e tornando infine al media tradizionale che continuo a trovare più congeniale. Ho cercato di trovare una mia dimensione, ho comprato libri di buona qualità su cui studiare e ho cercato di limitare le mie ambizioni alle mie passioni. Ho definito gli strumenti che voglio usare, ho deciso di preferire il disegno alla digital painting nonostante questa sia più vendibile e più versatile, ho deciso di dedicarmi a quello di cui ho bisogno e, soprattutto, ho deciso di essere devota al mio stile. Ho dovuto accettare la mia lentezza, la faticosità del disegno; ho capito che posso interrompermi quando voglio e riprendere un disegno più tardi, che non devo finirli per forza in una sola sessione, che devo prendermi il mio tempo. Non puoi avere fretta se sai di avere dei limiti strutturali.

Nella primavera del 2017 mi è improvvisamente tornata in mente una cosa che mi aveva detto una cliente del bar dove lavoravo nel 2009. Sentendomi dire che avevo questi strani dolori, mi aveva detto: “Dammi retta, è fibromialgia“. Sono quindi andata a informarmi (su testi perlomeno scientifici, anche se su internet) ed effettivamente tutto sembrava tornare. Non solo quello, ma anche altri disturbi periferici di cui avevo sofferto per anni che non sembravano riconducibili a niente. Leggendo l’elenco dei possibili sintomi ne avevo o ne avevo avuti il 90%.
Ho chiesto l’opinione del mio medico per sapere se la possibilità fosse verosimile. Lui mi ha risposto che sì, valeva la pena fare gli esami.
Così ho contattato il Centro per il Dolore Reumatologico di Siena, dove il primario mi ha prescritto una serie di esami per fare la diagnosi differenziale. Dopo qualcosa più di due mesi e una serie di esperienze orribili all’Ospedale di Siena (bruciasse) tra impiegati cafoni e dottori sbadati, arriva la diagnosi: sì, è fibromialgia, accompagnata da una deficienza grave di vitamina D e da vulvodinia.

I sintomi principali della sindrome fibromialgica sono legati a un’ipersensibilità agli stimoli del sistema nervoso centrale.
Dolori migranti dei muscoli, allodinia, esaustione cronica, difficoltà di concentrazione, sindrome del colon irritabile e cistiti, cefalee, ipersensibilità al dolore, al caldo, al freddo, alla luce e al rumore, disturbi del sonno e altro. Io ho manifestato acufeni, i sopracitati disturbi alla vista, difficoltà a deglutire e a respirare (forse l’unico sintomo che mi accompagna fin dall’infanzia), contratture alla schiena e dolori alle spalle, sensazione di gonfiore e rigidità alle mani, difficoltà di digestione, disagi posturali vari, occasionali amnesie e l’odiosa cosiddetta ‘nebbia fibromialgica’ mentale. Provo fastidio a tenere in mano molti oggetti, faccio fatica a tenere in mano una matita o una penna più di qualche decina di minuti consecutivi, mi fanno male la schiena, le mani e le braccia a stare al computer (fisso o laptop), l’uso dello smartphone mi risulta estremamente disagevole e i miei movimenti sono imprecisi. Di tanto in tanto mi capitano rare emicranee e giramenti di testa.

Are you still getting to do some of the things that you love?

I problemi sembrano peggiorare nei mesi estivi, specialmente a giugno e luglio quando il caldo è più intenso.
Questa condizione non è insopportabile, ma non posso dire che non sia neanche un po’ invalidante. Guidare mi è diventato quasi impossibile e certamente pericoloso, sia di giorno che di notte. Ho la fortuna di essere una libera professionista e di poter gestire i tempi di lavoro come meglio credo, ma talvolta mi stacco dal computer dopo poche ore di lavoro e mi tremano le braccia per la fatica. 
Riesco a fare meno cose perché sono stanca, sempre. A volte ho la mente in fermento ma non riesco a scrivere o a disegnare perché il mio corpo è pesante, e se sono affaticata non riesco ad ascoltare le persone e a ricordarmi quello che mi dicono.
Ci sono giorni in cui sento la gola che mi si chiude, il cibo mi rimane sullo stomaco, faccio fatica a respirare mentre mangio.

E i rumori? Non sopporto le persone, le loro voci, le loro grida, le moto, non sopporto che invadano in qualsiasi modo il mio spazio sonoro. Discutere con loro mi svuota da tutta l’energia. A volte mi prende una sensazione incomprensibile di non avere voglia di parlare che al liceo mi costò un 4 in chimica; perdo la forza, la voglia e la motivazione di spiegarmi. Come se fossi chiusa nel mio corpo e uscirne fosse troppo faticoso.

Per questo, ci sono periodi in cui non disegno niente per settimane. Non mi va, non ho niente da disegnare, non ho tempo o energie per farlo perché quel tempo mi serve per riposarmi.

Però non voglio certo darmi per vinta. So che è una sindrome altalenante influenzata dagli stimoli esterni. Esistono giorni in cui sto benissimo, non ho problemi a dormire (anzi), nel complesso sono in una posizione fortunata. Ho un marito che mi aiuta e che mi sostiene, non abbiamo problemi economici o problemi di salute più gravi.
Mi interrogo sul futuro perché non so come evolverà la cosa, per quanto riuscirò a fare quello che faccio, se riuscirò davvero a fare sport con costanza visto che ho sempre odiato lo sport (è noioso). So che dovrò essere determinata e non cedere al vittimismo, ma voglio anche che la gente mi capisca. La sindrome fibromialgica è un disturbo molto comune, specialmente tra le donne, e mi chiedo quante persone vivano in questo modo pensando che sia normale, assolutamente inconsapevoli del fatto che la loro vita sia influenzata da una cosa del genere, che il loro malessere non sia situazionale ma sistematico. Quanta gente lavora afflitta da questi dolori senza avere un riconoscimento, senza avere comprensione, magari cadendo schiava della depressione?

E quindi mi chiedo, come artista, cosa devo farne della mia malattia. Come posso trovare un equilibrio? Quello che è sicuro è che non posso rassegnarmi e abbandonare tutto. Certamente non butterò via tutto il tempo che ho passato a imparare. Probabilmente con il tempo imparerò a conoscermi e a controllarmi, e prima o poi saprò di cos’ho bisogno per convivere serenamente con il mio corpo, anche se dovesse significare cambiare completamente il mio stile di vita.

Sometimes I think of myself as a discordian relativist natural pantheist, sometimes I don't. Sometimes I'm an old girl in a malfunctioning shell, sometimes I'm an ill-educated philosopher, sometimes I'm a scholar in early modern history. Sometimes I'm a graphic designer, sometimes I'm a writer, sometimes I'm a company administrator, sometimes I'm a curious animal, sometimes I'm a misanthropist, sometimes I'm a good friend. One thing is sure: I'm not the same thing all the time.