Il ruolo dell’autore

For we need stories to survive, to communicate. No impulse, no story, no expression. Pen, be my sword, the sword of the screenplayer, the compass of the director that leads the actors to the top of the mountain.

Sono il tipo di persona che si pone tante, tantissime domande. Quando trovo una risposta alle mie domande me ne pongo di nuove, perché mi piace capire le cose. Non nutro il bisogno di applicare tutto quello che imparo; sono curiosa, voglio sapere le cose anche quando poi non mi serviranno a niente. Ogni tanto mi viene voglia di studiare cose che non hanno niente a che fare con la mia attività principale.

Alla fine, però, tutto torna sempre. Tutto quello che leggo e studio alla fine lo ritrovo nei miei lavori, perché l’arte in fondo non è altro che uno strumento catartico: è un puro sfogo dei nostri pensieri, dei nostri bisogni e delle nostre emozioni. A seconda di quello che vogliamo esprimere sceglieremo il nostro mezzo – o i nostri mezzi – ideali, seguendo il nostro istinto.

Quando ero piccola, senza che nessuno mi avesse istruita o guidata, ho cominciato a esprimermi soprattutto attraverso il disegno; qualche anno dopo ho cominciato a scrivere e poco dopo a inventarmi canzoni. Ma tutte queste forme mi servivano per fare sempre la stessa cosa: raccontare storie.

Una storia può assumere forme diverse, basta cambiare il punto di vista. Credo che ogni arte possa essere usata per esprimere sfaccettature diverse dello stesso soggetto, cosa che diventa chiara quando adattiamo un libro per il cinema o un fumetto per essere pubblicato come romanzo. Ogni arte ha i suoi codici da rispettare, i suoi confini da esplorare.

Mi sono sempre identificata con il disegno perché era con quello che mi identificavano gli altri. Ero brava a disegnare, era ovvio che quello che mi piacesse fare fosse disegnare. Eppure, quando mi sono ritrovata a dover disegnare su commissione, ho incontrato una difficoltà inaspettata: la noia. Essere uno strumento per esprimere le idee altrui mi annoia, e alla lunga mi infastidisce. Alcune commissioni le ho affreontate con un certo divertimento: se il lavoro è remunerato e ben definito temporalmente non mi crea problemi… ma disegnare fumetti per terzi è qualcosa che non sono mai riuscita a fare. Perché? Semplice. Perché sono un’autrice, non una disegnatrice. Finché non c’è di mezzo una sceneggiatura va tutto bene, ma se devo lavorare su una storia, perché sprecare il mio tempo a raccontare le storie degli altri quando posso raccontare le mie? La vita è una ed è breve, non mi va di rinunciare a qualsiasi occasione che mi permetta di fare qualcosa che mi piace.

Sono diplomata in grafica pubblicitaria e odio fare la grafica. È esattamente tutto quello che detesto: un grafico, nel 90% dei casi, è un mero strumento che serve a dare forma alle idee e alle necessità altrui (spesso orrende). La maggior parte del lavoro di un grafico riguarda progetti insignificanti, privi di qualsiasi valore artistico. Pubblicità, comunicazione aziendale. La morte dell’espressione umana. Ma è un lavoro che permette di sopravvivere, e qualche volta posso permettermi di dare sfogo alla fantasia.

Quello dello strumento al servizio degli altri è un ruolo che non mi è proprio. Forse sono egoista, ma finché il mio egoismo non fa del male a nessuno che male c’è?. È un peccato voler essere felici e soddisfatti? Allora sono condannata a peccare. Subirò il giudizio della società, pazienza; già lo subisco per tante altre cose (come essere una trentenne sposata senza figli).

A conti fatti, i ruoli che ricopro in ambito lavorativo sono tanti, ma tutti connessi da un filo rosso che è la direzione. Per fare un parallelo con una delle tante arti di cui non capisco quasi nulla, il cinema, il mio approccio quando scrivo, disegno e suono è quello dello sceneggiatore e del regista. Mi piace concepire le idee, conoscerle, esplorarle e capire qual è la forma in cui possono esprimersi al meglio. Mi piace immaginare il modo in cui la loro storia si svolge, come le relazioni si intrecciano al suo interno; mi piace sperimentare senza però sacrificare il sentimento centrale o la coerenza della forma.

Ogni tanto mi sono trovata a dover abbandonare le idee più sperimentali perché non ero tecnicamente in grado di affrontarle, oppure perché mi sono resa conto che la storia non ne avrebbe comunque giovato. Non ha senso anteporre la forma alla storia. Innamorarsi della tecnica è una cosa da addetti ai lavori, ma di una storia si può innamorare chiunque. Perciò le ho abbandonate, sono capace di autocensurarmi. Dieci anni fa mio marito mi ha fatto buttare nel cestino 100 pagine di romanzo e ha fatto bene.

La curiosità di capire le tecniche artistiche deriva dalla voglia di sperimentare, non dalla voglia di saper fare tutto. Non sarò mai e non voglio essere una pittrice, acquarellista, pianista, cantante virtuosa. Non voglio essere e non sarò mai Constable, Bouguerau, Turner, Bergkvist, Van Baarle, Phobs, Amos, McKennitt, Arab, Lynch, Kuksi, Wolfe, Pham e via discorrendo.

Find your own voice“. L’arte è trovare la propria voce.

Sono le voci forti, quelle che mi piace sentire; quelle che non assomigliano a nessuno, coraggiose. Sono voci che non imitano.

L’imitazione è noiosa, mi annoia da morire. Tutte le volte che mi è stato chiesto di ricopiare un dipinto, di riproporre una cover o di fare qualsiasi cosa ‘nello stile di‘ mi assale una noia assassina. Con tutte le idee che voglio sviluppare, considerando il poco tempo a disposizione, ha veramente senso esercitarsi nell’imitazione? E non parlo dello studio – il disegno dal vero, lo studio di una canzone per capirne le dinamiche armoniche – ma della vera e propria imitazione. Non ci posso fare niente, la noia mi assale sempre e mi spegne.

In questi giorni ho riflettuto molto su questi argomenti, e sono sempre più convinta che perseguire i miei interessi sia la cosa giusta da fare, anche rischiando di deludere chi si aspettava di trovare in me uno strumento versatile, invece che una sognatrice egoista. Quante volte mi sono sentita dire “Perché non sai dipingere cose belle? Perché non illustri libri per bambini? Perché non suoni qualcosa che conosco?”. Perché non è quello il mio lavoro. Quello che desidero non è regalare una performance, ma dare tutta me stessa e tutto un mondo immaginario in cui le persone possano rifugiarsi. Un mondo malinconico, ma sicuramente confortevole.

Forth, outlander
Laws are tidal
Would you tarry?
Would you hark?

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Sometimes I think of myself as a discordian relativist natural pantheist, sometimes I don't. Sometimes I'm an old girl in a malfunctioning shell, sometimes I'm an ill-educated philosopher, sometimes I'm a scholar in early modern history. Sometimes I'm a graphic designer, sometimes I'm a writer, sometimes I'm a company administrator, sometimes I'm a curious animal, sometimes I'm a misanthropist, sometimes I'm a good friend. One thing is sure: I'm not the same thing all the time.